Sempre più si sente nominare questa parola. Ma di cosa si tratta?
..rilassamento?..meditazione? tecnica psicologica?
“Mindfulness” in inglese significa consapevolezza ma acquisisce questo significato con un’accezione particolare difficile da descrivere a parole.
Si tratta infatti, prima di tutto, di un’esperienza diretta. John Kabat-Zinn, uno dei pionieri di questo approccio, ne da una definizione orami ritenuta “classica” affermando che “Mindfulness significa prestare attenzione, ma in un modo particolare: con intenzione, al momento presente, in modo non giudicante”.
Si può descriverla anche come di un modo per coltivare una più piena esperienza del momento presente, del qui e ora.
La mindfulness spesso viene erroneamente considerata una forma di meditazione ma se questa definizione non è corretta è vero anche che questo approccio deriva ed è basato sulla meditazione; la meditazione di consapevolezza, una delle principali tradizioni meditative del buddismo classico, e consiste proprio nel proporre un livello iniziale di pratica di meditazione che sia adeguato e adatto a contesti quotidiani, all’esperienza di vita normale che sperimentiamo tutti i giorni. In sintesi un approccio che possa aiutarci a metterci in una diversa relazione col disagio, che prima o dopo, in un modo o nell’altro, tutti sperimentiamo.
Mindfulness non è però neanche una tecnica di rilassamento. Non fa “entrare in trance, né serve per svuotare la mente e raggiungere il “vuoto”. Non è una modalità per garantirsi un facile benessere psicofisico, né una forma di “buonismo” che ci spinge ad accettare tutto, ad accogliere acriticamente quello che ci accade, ad essere passivi nel nome dell’“accettazione”.
È un atto che parte dall’attenzione ed è talmente semplice che questa stessa semplicità ne rappresenta la vera difficoltà poiché è chiaro a tutti quanto, spesso, facciamo molta fatica ad essere semplici. Quello che si vuole raggiungere sono, da un lato, una capacità progressiva di maggiore presenza nel qui ed ora che ci apra a esperienze inaspettate, alla ricchezza del momento presente e alla pienezza del vivere e, dall’altro la completezza dell’esperienza che comprenda anche il suo lato “negativ”; il disagio, la sofferenza, il dolore.
Questo è uno degli aspetti più interessanti di questo approccio che ci chiede e ci insegna infatti a non respingere e a non negare questa dimensione ma a farne motivo di crescita e persino di creatività.
Fonte: mindfulnessitalia.it



